Orsini Armando

Il fondo Orsini è costituito da oltre 8000 fototipi raccolti durante il primo conflitto mondiale da Armando Orsini, membro di una delle Squadre Cinefotografiche del Regio Esercito Italiano, incaricate di svolgere una ricca e capillare documentazione sui luoghi di guerra. Il fondo giunge all’Istituto Parri nei primi anni 2000 grazie ad Enrico Orsini, figlio di Armando, e alla sua volontà di condividere i materiali appartenuti al padre e già utilizzati in precedenza per progetti editoriali. Alcuni volumi si sono infatti avvalsi di un corredo iconografico estrapolato da questa raccolta fotografica: ricordiamo la serie in tre volumi titolata Inedito dal fronte, curata da Corrado Fanti e pubblicata nel 1988, e a seguire Tapum. Immagini della Grande Guerra tra mito e realtà a cura di Eugenio Dal Pane, catalogo di una mostra tenutasi a Lugo nel 1991. Armando Orsini nasce a Bologna il 7 marzo 1889 e proprio in questa città intraprende la sua esperienza in campo fotografico impiegandosi come aiutante presso il laboratorio dei fratelli Alfredo e Angelo Bolognesi, titolari dello studio La Moderna, con sede in via Indipendenza. Lo scoppio della guerra lo vede arruolato nel corpo degli Alpini, ma le tracce del suo percorso sono purtroppo molto scarne: manca il suo fascicolo presso il Distretto Militare e la sua presenza nel Reparto Cinefotografico è confermata solo da pochi elementi estrapolati dai documenti di archivio consultati presso il Museo della Battaglia di Vittorio Veneto. Raramente viene indicato in modo esplicito come operatore sul campo -in genere in coppia con il tenente Peradotto- ma lo troviamo sul Carso, presso l’Isonzo, nel novembre del 1916 a documentare il Monte Pecinka appena conquistato, la collina del Nad Logem e la zona di Opachiasella. Due ritratti fotografici di gruppo della Squadra Fotografica ci consentono di collegare il soldato Armando Orsini alla Sezione diretta dal generale Maurizio Rava e coordinata dal sergente Luigi Marzocchi. Tra le annotazioni sui taccuini dello stesso Marzocchi, instancabile operatore e responsabile del Laboratorio fotografico, nel febbraio 1918 si accenna al provvidenziale arrivo di Orsini, come figura di supporto per soddisfare le numerosissime richieste di stampe dai negativi prodotti. Ipotizziamo quindi che più che come fotografo sul campo, Orsini sia stato impiegato come ottimo stampatore, attività che probabilmente padroneggiava già durante il suo apprendistato presso i Fratelli Bolognesi. Alla fine della guerra Orsini torna a Bologna, con un bagaglio di esperienza acquisita durante il conflitto e nell’agosto 1921 fonda, insieme ad Alfredo Bolognesi, lo studio fotografico Bolognesi e Orsini, formalizzando un rapporto già solido e di lunga data. La ditta avrà una clientela numerosa e una produzione ricca e diversificata, fino alla prematura morte di Armando, avvenuta nel giugno 1934. Il fondo è composto principalmente da stampe positive (7815) e da circa 200 stereoscopie positive e negative su vetro. I soggetti proposti seguono esattamente le indicazioni date dall’Ufficio Stampa e Propaganda del Regio Esercito, che gestiva il percorso di produzione e successiva diffusione delle immagini, operando anche una sistematica censura su ogni soggetto ritenuto non congruo. Nella quasi totalità di immagini legate alla grande guerra affiorano di tanto in tanto elementi estranei, probabilmente raccolti da Orsini stesso nel corso del tempo, come stereoscopie su carta della città di Milano e dei suoi principali monumenti o vedute più esotiche del Cairo dello studio fotografico Lehnert & Landrock.
Bibliografia
Marco Pizzo, La grande guerra in fotografia in La prima guerra mondiale 1914-1918. Materiali e fonti, catalogo della mostra, Roma, 2014
Lucio Fabi, La prima guerra mondiale 1915-1918, Roma, Editori Riuniti, 1998 - in particolare I reparti foto-cinematografici dell’esercito italiano, pp. 44-37
Nicola Della Volpe, Esercito e propaganda nella Grande guerra, Roma, Ufficio storico SME, 1989

La stereoscopia offre la visualizzazione tridimensionale di un’immagine altrimenti piatta, grazie alla giustapposizione di due riprese sullo stesso supporto, leggermente sfalsate. Questo crea la possibilità, attraverso lo stereoscopio, di cogliere la profondità prospettica di una veduta o di una scena animata.
L’artefice della “Collezione stereoscopica della Guerra Italo Austriaca” in parte conservata anche nel fondo Orsini, è il sergente Luigi Marzocchi. Grande appassionato di fotografia, allo scoppio della guerra si trova in servizio presso il Drappello Automobilistico del Comando Supremo e tra giugno e luglio 1915 entra in contatto con il conte Antonio Revedin, con cui istituisce il primo Reparto Fotografico, costituitosi ufficialmente solo nel dicembre dello stesso anno, come parte integrante dell’Ufficio Stampa e Propaganda del Regio Esercito Italiano.
Marzocchi è instancabile, si muove spesso da solo nelle prime linee per documentare la guerra e i suoi effetti, nonostante il pericolo di attacchi nemici e il maltempo che spesso non gli consente di effettuare buone riprese. Porta con sé la macchina fotografica e quella stereoscopica. Nei suoi taccuini, conservati al Museo della Battaglia di Vittorio Veneto, si percepisce anche l’importanza del suo ruolo di coordinatore del Laboratorio fotografico dove i negativi venivano stampati.
Alla fine del 1918 Marzocchi acquista la raccolta di stereo “anche in riconoscimento dei servizi speciali prestati durante l’intera guerra” e fonda la società La Stereoscopica, con sede a Milano e a Roma, insieme ad Antonio Revedin e Vittorio Lazzaroni, con l’intento commerciale di promuovere la diffusione di immagini di soggetto militare. Il progetto però non ebbe successo, nonostante la ricca produzione di cataloghi e la realizzazione di apparecchi per la visione: la guerra era un argomento da accantonare e la visione stereoscopica si prestava ad una fruizione individuale, non condivisibile e troppo onerosa dal punto di vista economico. Marzocchi concluse quest’esperienza tornando alla sua vocazione principale: la costruzione di strumenti elettromeccanici, in particolare di macchine automatiche per l’industria farmaceutica.
Tra le belle stereoscopie da attribuire a Luigi Marzocchi segnaliamo due immagini particolari: nella prima Armando Orsini è intento al suo lavoro all’interno del laboratorio -probabilmente quello del Comando Supremo in cui era operativo- accanto a uno stereoscopio a colonna, mentre nella seconda veste i panni di una vedetta alpina, nel gennaio 1917, in una veduta suggestiva a Passo Ombretta, sulla Marmolada, con un viraggio blu che enfatizza il tono freddo dell’immagine caratterizzata da ghiaccio e neve. Il riferimento a Orsini è stato possibile grazie alle indicazioni manoscritte del figlio Enrico che descrive in modo intimo e familiare questa lastra come “Papà a Passo Ombretta”.
Vanno segnalate però altre immagini stereoscopiche presenti nel fondo e realizzate dallo stesso Orsini, molto interessanti perché relative alla prima “Grande Escursione Nazionale nella Venezia Tridentina” organizzata dal Touring col patrocinio della Prima Armata, tra il 14 e il 19 luglio 1919. Altre, sempre ad opera di Orsini, documentano una corsa ciclistica presso l'Ippodromo Zappoli a Bologna, luogo attivo fino al 1928, quando venne smantellato per il riassetto urbanistico dell'area.
Bibliografia
Alex Da Frè, Il primo conflitto mondiale nelle fotografie di Luigi Marzocchi, percorso di approfondimento "L’obiettivo della Grande Guerra" Vittorio Veneto, 2015 Tiziana Ragusa, Luigi Marzocchi (1888-1970) in Fotografare la grande guerra. Per una conoscenza del patrimonio di fotografie e attrezzature dei fondi fotografici veneti. Guida alla mostra fotografica, Treviso, 2001 Immagini della Grande guerra: da Caporetto a Vittorio Veneto (1915-1918). Collezione Luigi Marzocchi (1888-1970) del reparto fotografico del Comando supremo, catalogo della mostra, Vittorio Veneto, 1988

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Le stampe positive sono la parte preponderante del fondo Orsini. Per quanto omogenee su temi e soggetti sono invece molto varie per formati e tipi di supporto, con numerosi ingrandimenti, viraggi con tonalità blu o seppia, stampe a contatto da negativo senza rifiniture e altre con bordi irregolari, tagliate manualmente. Anche la carta fotografica utilizzata oscilla dalle stampe ufficiali, spesso contraddistinte dalla presenza di timbri e iscrizioni, a quelle di lavorazione, con un supporto molto leggero e di minore qualità. Questa estrema varietà ci riporta all’ipotesi che Armando Orsini operasse come stampatore e che la sua raccolta provenga direttamente dal quel fare, da quella pratica quotidiana all’interno del Laboratorio Fotografico del Comando Supremo, riferimento che spesso appare nei timbri a inchiostro sul verso delle stampe.
Nel fondo Orsini si rintracciano numerose copie dello stesso scatto, talvolta in formati diversi o con ingrandimenti parziali; questo è dovuto all’esplicita richiesta contenuta nelle Prescrizioni per il Servizio Fotografico del Regio Esercito Comando Supremo pubblicate nel 1917 di inviare tre stampe da ogni negativo da passare al vaglio della censura.
La Sezione Cinefotografica del Regio Esercito deve essere considerata l’ente autoriale a cui attribuire questa sterminata documentazione di guerra. Un ente che nel 1917 era organizzato in otto squadre, tre da campagna e quattro da montagna, oltre alla Sezione Fotografica del comando Supremo e la Segreteria per le direttive di propaganda coordinata da Ugo Ojetti e Maurizio Rava. La paternità delle riprese spetta dunque genericamente all’organizzazione nel suo complesso, ma grazie a ricerche d’archivio abbiamo potuto individuare alcuni operatori e attribuire ad essi parte degli scatti: i loro nomi sono stati rintracciati nei preziosi registri manoscritti compilati a cura della Sezione Fotografica, alcuni giunti all’Istituto Storico Parri con il donativo Orsini e altri consultati presso il Museo della Battaglia di Vittorio Veneto. Benedetto Fera, Ildebrando Bergamini, Aldo Molinari, Bruno Miniati, Valerio Lazzaroni, Antonio Revedin, Buratti e Peradotto, oltre all’immancabile Luigi Marzocchi, diventano reali e concreti autori di campagne di documentazione su percorsi impervi, spesso sulla linea del fronte, sotto i colpi dell’artiglieria nemica.
Queste immagini ebbero grande circolazione già in tempo di guerra grazie alla pubblicazione in periodici quali Il Secolo illustrato, Il Mondo, L’Illustrazione italiana o in collane dedicate come la serie dei Panorami della guerra dalle raccolte della Sezione fotografica del Comando supremo del R. esercito italiano, edita da Bestetti e Tumminelli.
I negativi corrispondenti alle stampe del fondo Orsini sono conservati in gran parte presso il Museo del Risorgimento di Roma. Già nell’agosto 1915 era stata diramata una circolare per la raccolta di ogni testimonianza bellica, al fine di costituire un archivio, una biblioteca e un museo della guerra con sede al Vittoriano. Dal 1915 al 1918 confluirono in questo archivio circa 150.000 lastre, frutto del lavoro delle squadre fotografiche e nel 1919 l’intera documentazione venne destinata al Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento italiano. Copie delle stampe invece sono reperibili in numerose collezioni su tutto il territorio nazionale, dal Museo della Guerra di Rovereto a quello della Battaglia di Vittorio Veneto, e poi Soprintendenze, biblioteche e altri istituti culturali, senza dimenticare, a livello locale, il Museo del Risorgimento di Bologna.
Camillo Zadra, Il fondo fotografico Maurizio Rava in Annali, Museo Storico Italiano della Guerra, n. 28, 2020, pp. 207-254
Marco Pizzo, Il “Fondo Guerra” del Museo Centrale del Risorgimento in Verso la Grande Guerra. Storia e passioni d’Italia dalla crisi di fine ottocento a D’Annunzio, catalogo della mostra, Roma, 2013, pp. 101-105 Stefano Mannucci, La Grande Guerra fotografata in Storia e fotografia, Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea, 2012
AFT – Rivista di Storia e Fotografia – Anno XI, N. 22, Dicembre 1995, numero monografico sulla Grande Guerra

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