Nazario Sauro Onofri

 


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Nazario Sauro Onofri (1927-2015) ha scritto pagine fondamentali per la storia di Bologna. Dapprima come protagonista quando, giovane partigiano dell’8ª Brigata Giustizia e Libertà, si oppose all’occupazione tedesca della città e al fascismo repubblicano; in seguito come giornalista e appassionato ricercatore storico che ha consegnato alla memoria pubblica articoli, saggi e monografie determinanti per quanti desiderano approfondire le vicende del capoluogo felsineo e del suo territorio nel Novecento. La dirompente novità delle amministrazioni socialiste negli anni a ridosso della prima guerra mondiale, la figura del sindaco Francesco Zanardi, la nascita del fascismo a Bologna e il suo crollo, l’invasione tedesca e la Resistenza dei bolognesi: senza i contributi di Onofri, la conoscenza della nostra comunità sui temi citati sarebbe sicuramente incompleta. Tuttavia occorre dire che Onofri ha doverosamente sconfinato nella più ampia storia d’Italia nel XX secolo. Nei suoi scritti, scala locale e scala nazionale dialogano e interagiscono sempre. Analizza, ad esempio, la reazione del grande capitale alla montante “minaccia rossa” di inizio secolo e la conseguente alleanza con lo squadrismo, così come le cause del fallimento dello schieramento antifascista negli anni Venti. Non è un caso che il suo libro La strage di Palazzo D’Accursio. Origine e nascita del fascismo bolognese (1980) venga sistematicamente utilizzato negli studi sull’origine del movimento mussoliniano. E ancora: Onofri spiega come nacque e come si sviluppò la Resistenza, documentando imprese e ideali che diedero vita alla nostra democrazia, senza però tacere sulle contraddizioni che quel movimento visse prima e dopo la primavera del 1945. Argomenti che non cessano di far discutere e che necessitano di studi rigorosi da contrapporre a pubblicazioni poco interessate a comprendere il complesso dispiegarsi degli eventi.

La storia della stampa periodica bolognese ed emiliano romagnola costituisce un altro filone centrale della produzione di Onofri. Cronista dal secondo dopoguerra prevalentemente nei giornali di orientamento socialista, ha colto l’importanza di raccontare non solo la quotidianità, ma anche i tanti altri aspetti della vita degli organi d’informazione su carta nelle varie stagioni del Novecento. Spaziando da «il Resto del Carlino» a «La Squilla», dall’ «Avanti!» ad «Architrave», Onofri restituisce al lettore l’intreccio tra potere e comunicazione nell’Italia del secolo scorso.

Nato a Bologna il 29 ottobre 1927, per amici e colleghi è sempre stato semplicemente “Sauro”. Ha scritto, probabilmente con la benevola ironia che lo ha sempre caratterizzato, che il padre Gino e il nonno Depalmo gli avevano imposto un nome «impegnativo»1 come Nazario Sauro per ricordare il patriota italiano ucciso dagli austriaci nella prima guerra mondiale e per rifarsi della mancata partecipazione a quel conflitto. Entrambi erano interventisti democratici e vedevano nella guerra l’occasione per completare l’opera risorgimentale strappando all’Austria i territori di Trento e Trieste. Scartati per motivi di età dall’esercito (troppo anziano il nonno, troppo giovane il padre), avrebbero scelto di evocare una figura eroica nel nome di quel bambino nato quando la dittatura fascista andava consolidando la sua struttura totalitaria.

Nelle vicende famigliari troviamo le radici del rigore ideale e della passione per la storia che hanno caratterizzato la vita e la professione di Onofri. Il nonno materno Depalmo, romagnolo di fede repubblicana, si era recato in Grecia nel 1897 con una legione di garibaldini schierata a fianco della popolazione locale in lotta per l’indipendenza dal dominio turco. Al ritorno venne costantemente vigilato dalla polizia, anche dopo essersi trasferito da Mercato Saraceno a Bologna nel 1921. Qui subì diverse aggressioni da parte dei fascisti i quali, in due occasioni, devastarono il bar che gestiva nella sezione del Partito repubblicano. Morì nel 1928. Anche il padre Gino, operaio elettricista, fu più volte aggredito dai fascisti. Repubblicano di religione evangelica metodista, nelle mura domestiche di via Marsala 22 spiegava continuamente alla famiglia che il fascismo aveva tolto la libertà a tutti e, con la discesa in campo nella seconda guerra mondiale, portava il paese alla rovina. La moglie Candia, di professione sarta, rispondeva alle lamentele dei figli sulle ristrettezze economiche e soprattutto alimentari ricordando che il marito pagava il rifiuto di prendere la tessera del Pnf con lunghi periodi di disoccupazione. In questo clima prese forma la coscienza antifascista di Onofri, alimentata dai libri di storia risorgimentale che trovava in casa.

Il 26 luglio 1943 partecipò con il padre ai festeggiamenti per le strade di Bologna seguiti alla notizia dell’arresto di Mussolini e alla conseguente caduta del fascismo, con tanto di abbattimento dei simboli del regime. Di quel giorno restano le fotografie private che Onofri ha fatto pubblicare, in cui è documentata la gioia della sua famiglia e dei bolognesi nei momenti che sembravano preludere al ritorno delle libertà politiche e alla fine della guerra. L’appartamento in via Marsala divenne successivamente luogo di riunioni con ordini del giorno su argomenti quali il ritorno alla pace, la preparazione in caso di aggressione tedesca e, principalmente, la rinascita del Partito repubblicano.

L’armistizio dell’8 settembre, l’immediata occupazione di Bologna da parte dei tedeschi e il sorgere del fascismo repubblicano imposero decisioni sofferte: per non collaborare con il governo del re Vittorio Emanuele III, i dirigenti del Pri rifiutarono qualsiasi appoggio al nascente movimento di resistenza e Gino Onofri, convinto che la priorità fosse la lotta per l’indipendenza e il ritorno della democrazia, reagì aderendo al Partito d’azione, entrando con tutta la famiglia nella brigata cittadina Giustizia e Libertà. Ricevette l’incarico di preparare documenti falsi per coprire l’identità degli antifascisti in clandestinità, di soldati e giovani che si sottraevano all’arruolamento nelle unità militari della Repubblica sociale italiana, di ebrei che cercavano di evitare la deportazione nei campi di sterminio. Il figlio Sauro, all’epoca liceale, oltre ad occuparsi della fabbricazione dei documenti falsi, provvedeva alla distribuzione del materiale di propaganda clandestina inviato dal Pda milanese e curava i testi dei volantini politici prodotti a Bologna; poi, nel marzo 1944, entrò nella redazione del giornale clandestino «Orizzonti di libertà», diretto da Massenzio Masia e Renato Giorgi. La tipografia venne collocata in via D’Azeglio 58, nello scantinato dell’abitazione di Mario Jacchia. Molti membri della brigata furono coinvolti nella cosiddetta «Operazione radio», l’occultamento di un importante quantitativo di materiale radioattivo in dotazione all’ospedale S. Orsola per evitarne la completa requisizione da parte dei tedeschi.

Il 4 settembre 1944, 23 componenti della brigata furono arrestati a causa dell’opera di infiltrazione condotta da due spie fasciste e portati nelle stalle della caserma di porta San Mamolo, adibite a prigione. Tra i fermati anche Gino e Sauro Onofri. Dopo il processo, Masia e altri sette partigiani furono fucilati. Sei uomini vennero consegnati ai tedeschi per la deportazione in Germania. Gino Onofri era tra questi, morì il 5 febbraio 1945 nel campo di sterminio di Mauthausen. Il figlio Sauro era stato prosciolto in istruttoria, dopo un mese di carcere, percosse e minacce di fucilazione. Durante gli interrogatori aveva negato di far parte della redazione di «Orizzonti di libertà». Favorito dalla sua giovane età e dal fatto che le due spie non lo avevano mai visto, era stato rilasciato. Era passato quindi al distaccamento che aveva la sua base nella biblioteca della Facoltà di Lettere, attaccata dai fascisti il 20 ottobre 1944. Sei partigiani furono uccisi in quell’occasione. Onofri continuò la sua attività clandestina, ma in seguito preferì non lavorare a un nuovo giornale dattiloscritto della brigata, ormai fortemente indebolita dai colpi subiti.

La mattina del 21 aprile 1945, i bolognesi festeggiarono la liberazione dal nazifascismo. Quello stesso giorno, il comandante dell’8. brigata GL chiamò Onofri per comunicargli che era stato scelto per lavorare nella redazione di «Giustizia e libertà», nuovo organo del Partito d’azione in regione. Onofri accettò e diede il suo contributo per l’uscita del primo numero il 22 aprile. Dopo un blocco temporaneo imposto dagli Alleati alle pubblicazioni dei giornali, «Giustizia e libertà» tornò nelle edicole a giugno nella veste di settimanale.

Onofri ha ricordato che, in quei giorni, alla gioia per la fine della guerra si sommava in lui il pensiero per la sorte dei compagni deportati o fucilati. La decisiva figura del padre, il suo contributo alla Resistenza e le circostanze della sua cattura erano destinati a tornare spesso e senza traccia di retorica negli scritti successivi.

Tornato sui banchi del liceo, dovette abbandonare definitivamente gli studi nel giro di poco tempo per contribuire al sostentamento della famiglia. Cercò lavoro nelle redazioni dei periodici locali della Camera del lavoro e del Partito socialista, formazione a cui si era sempre sentito vicino e in cui entrò definitivamente nel novembre 1947 con lo scioglimento del Pda. Risalgono a questo periodo le saltuarie collaborazione con «La Squilla», organo delle federazione socialista bolognese. Prese così definitivamente avvio la carriera giornalistica di Onofri: dal 1950 al 1951 lavorò ne «Il Progresso d’Italia», giornale della sinistra bolognese, quindi entrò nella redazione locale dell’«Avanti!», collaborando anche con i colleghi milanesi e diventando nel frattempo giornalista professionista (1957). Ricoprì l’incarico di capo della redazione bolognese dal 1966 al 1976.

Negli anni del terrorismo diffuso i giornalisti finirono nel mirino. Il fratello Eneide, redattore dell’ «Avanti!», il 13 marzo 1979 subì un attentato esplosivo per aver pubblicato un duro articolo su Barbara Azzaroni, la terrorista di Prima linea uccisa qualche settimana prima dalla polizia.

Esponente della corrente autonomista e strenuo sostenitore dell’opzione riformista, Onofri ha seguito in prima persona le alterne vicende del Partito socialista italiano: le conseguenze della scissione socialdemocratica, il difficile rapporto con l’ingombrante alleato comunista, i governi di centrosinistra, l’ascesa e la gestione politica di Bettino Craxi e, infine, l’esplosione del caso «Tangentopoli», la serie di scandali finanziari e relative inchieste giudiziarie che travolse il Psi e altre compagini politiche all’inizio degli anni ’90. Sulla storia del Partito socialista nel contesto bolognese e nazionale ha pubblicato amare riflessioni, accompagnate da puntuali ricostruzioni, nel volume Dal Frontismo al Riformismo. La lotta autonomista nel PSI di Bologna (1992).

La sua vasta produzione di articoli e monografie di carattere storico era cominciata parecchi anni prima. Aveva iniziato scrivendo di ciò che aveva vissuto in prima persona, con il saggio Due spie nel Partito d’Azione (1960) e curando il libro Massenzio Masia nel ricordo degli amici della Resistenza (1961). Dimostrò ben presto l’ampiezza del suo campo d’indagine affiancando ai contributi sulla lotta antifascista studi sull’amministrazione socialista di Bologna dal 1914 e sulla figura del sindaco Zanardi, sulle condizioni di vita in città durante la prima guerra mondiale (La grande guerra nella città rossa è del 1966) e analizzando le scelte di indirizzo dei giornali nella prima metà del Novecento con studi ancora attuali come I giornali bolognesi nel ventennio fascista (1972). Prese forma in questa fase la collaborazione con Luigi Arbizzani, già partigiano, giornalista e storico di area comunista con cui Onofri ha firmato numerose pubblicazioni sulla storia dell’antifascismo bolognese.

In Onofri, da tempo, si era fatto strada l’interesse per le origini del fascismo bolognese quale naturale sbocco degli approfondimenti sulle amministrazioni di sinistra abbattute dallo squadrismo. Nel 1980 diede alle stampe La strage di Palazzo d’Accursio, aprendo così nuovi scenari di ricerca per gli storici del movimento mussoliniano. Non ebbe mai timore di “sporcarsi” le mani parlando del vecchio nemico fascista, studiandone uomini e opere come materia storica, come fonte di interrogativi a cui rispondere.

Lasciato l’ «Avanti!», Onofri divenne responsabile dell’ufficio stampa del Teatro comunale di Bologna, incarico ricoperto fino al 1981. Dopo alcuni anni come vice direttore del periodico della regione Emilia-Romagna, Onofri andò in pensione a metà degli anni ’80 e poté dedicarsi alle sue ricerche, frequentando ancora più assiduamente biblioteche e archivi italiani. Dal 1977 al 1981 è stato presidente dell’Istituto storico provinciale della Resistenza in Bologna (Isrebo) nel quale ha operato anche negli anni successivi in qualità di consigliere e, dal maggio 2007, presidente onorario. Un impegno continuato è stato da lui profuso all’interno dell’Anpi bolognese: come membro del comitato direttivo ha promosso e coordinato numerose pubblicazioni e dal novembre 2013 è entrato a far parte della Presidenza onoraria.

Prendeva corpo nel frattempo il progetto più ambizioso che, con Arbizzani e altri ricercatori, lo ha impegnato per anni: tra il 1985 e il 2005, infatti, vengono presentati al pubblico i sei volumi de Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), migliaia di biografie documentate che raccontano le vicende dell’antifascismo locale componendo un quadro d’insieme ineludibile per lo studioso della materia. Se nei lavori con altri autori è riuscito a trovare un punto di mediazione tra ideali e convinzioni differenti, ha invece affrontato in solitudine argomenti controversi, infrangendo molti silenzi e, di conseguenza, attirandosi talvolta critiche anche molto aspre. È avvenuto ad esempio in occasione di pubblicazioni quali Le due anime del cardinale Lercaro (1987), sull’ambivalente atteggiamento del cardinale bolognese verso il Pci; Ebrei e fascismo a Bologna (1989), dove si intrecciano temi come le leggi razziali italiane, il collaborazionismo, le strategie di sopravvivenza e l’opportunismo ai tempi della guerra e della Shoah; Il triangolo rosso, 1943-1947. La verità sul dopoguerra in Emilia-Romagna attraverso i documenti d’archivio (1994, rieditato nel 2007), analisi della violenza post liberazione basata su documentazione governativa e dati verificabili; Un paradiso infernale. Gli antifascisti bolognesi assassinati e incarcerati nell’URSS di Stalin (1997), libro che tocca ferite mai sanate nella storia della sinistra italiana. Inviti a convegni, continue richieste di collaborazione e il susseguirsi di nuovi scritti certificavano comunque l’autorevolezza del lavoro di Onofri, ormai memoria storica della città e punto di riferimento per i ricercatori più giovani.

Nel 2003 ha pubblicato il suo contributo più articolato sulla seconda guerra mondiale e sulla Resistenza: il libro Bologna combatte ripercorre senza retorica e con dovizia di particolari il cammino del capoluogo felsineo «dalla dittatura alla libertà», come recita il sottotitolo.

Già consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti, ha illustrato la storia della stampa regionale nel Novecento nell’opera in due volumi Giornali e giornalisti in Emilia-Romagna (2005 e 2008).

Instancabile frequentatore di biblioteche, archivi e Istituti storici della Resistenza, nel 2013 ha presentato un’altra sintesi frutto del lavoro di decenni: genesi, consolidamento e crisi del fascismo bolognese vengono analizzati in Gli anni della dittatura, saggio apparso nel volume dedicato al ‘900 di una ricca opera collettiva sulla Storia di Bologna.

Protagonista e testimone di tanti passaggi della nostra storia recente, Onofri ha interrogato il passato senza cedere alla comodità delle versioni di seconda mano, cercando sempre, al contrario, il riscontro diretto con le fonti primarie di una notizia, di un evento lontano nel tempo, con l’umiltà di aggiornarsi e correggersi sempre, se necessario. Un lungo cammino che ha richiesto determinazione e metodo. E la passione per la ricerca, per la scrittura, per una città.

1 Nazario Sauro Onofri, Mio nonno garibaldino alla guerra greco-turca (1897), Bologna, s.n., 2005, p. 42.

 

Il Fondo è composto da 177 fotografie, comprese tra il 1919 e il 1960. principalmente le fotografie sono relativi al processo Walter Reder, alla storia del fascismo e dell'antifascimo bolognese.

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