Antonioni Ezio

Ezio Antonioni nasce il 13 marzo 1923 a San Lazzaro di Savena, in frazione Croara. Il nome di battesimo è una scelta del padre che vuole in questo modo ricordare suo cugino Ezio Villani, all’epoca in carcere da tre anni, arrestato con l’accusa di aver partecipato agli scontri tra socialisti e fascisti avvenuti nei pressi del Castello Estense di Ferrara, il 21 dicembre 1920. Alla fine del 1923 la famiglia (i genitori e i due figli) si trasferisce in località Roveri, nella periferia nord-est di Bologna, dove il padre apre una bottega di generi alimentari che condurrà per quasi quarant’anni. L’attività autonoma lo rende economicamente indipendente, libero di non di dover aderire al fascismo e «prendere la tessera» per lavorare. Nel 1929 a sei anni, è insieme al fratello quando il padre è schiaffeggiato dai fascisti al seggio delle elezioni plebiscitarie del regime. Il negozio, come le osterie, i laboratori artigianali, i ciabattini, i meccanici sono luoghi che veicolano il movimento antifascista diventando piccoli centri di smistamento di idee, documenti e materiali. Alle Roveri la famiglia diventa un punto di riferimento e di osservazione importante per tutto il periodo dell’opposizione, dove s’incrociano storie personali e politiche contro il fascismo.

Antonioni frequenta il Liceo scientifico Augusto Righi di Bologna dove consegue la maturità nell’estate 1943; in seguito si iscrive alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Bologna.

Dopo l’8 settembre entra in contatto con Andrea Bentini, nipote dell’avvocato socialista Genuzio, per cercare un contatto con i primi gruppi partigiani che si stanno organizzando nell’Appennino tosco-emiliano, ma senza successo. Sempre in quell’autunno, insieme all’amico Tino Mengoli, fa un altro tentativo nelle vicinanze di Vado, frazione di Monzuno, dove operano bande di «ribelli».

Alla fine di febbraio 1944, parte per il Veneto per raggiungere un distaccamento partigiano bolognese, soluzione transitoria per allontanarsi dalla città dove è ricercato per aver disertato i bandi di arruolamento della Repubblica sociale. Il collegamento avviene attraverso Giuseppe Landi, dirigente influente del Partito comunista, che diventerà commissario politico della «zona Piave». La prima tappa è Padova dove arriva in treno insieme a altri tre compagni. In seguito si trasferiscono a Belluno e poi a piedi raggiungono la valle del Vajont, risalendo fino alla sorgente del torrente dove si rifugiano in una baita e prendono contatto con due partigiani bolognesi, Rino Gruppioni e Giuseppe Armaroli. Il «casère» è la base del primo distaccamento delle brigate Garibaldi della zona Piave intitolato al nome del bolognese Ferdiani, in realtà Innocenzo Fergnani, nome di battaglia Tino, morto in azione a Forno di Zoldo nel gennaio 1944.L’ingresso ufficiale nelle fila partigiane è segnato dalla scelta del nuovo nome di riconoscimento con cui combattere. Antonioni decide di chiamarsi «Gracco» in onore di Gaio Gracco, tribuno del popolo. Sono circa cinquanta i partigiani che formano il distaccamento, divisi in quattro compagnie, la sua formazione è la Mameli, che si trasforma in breve in un battaglione. Le prime azioni sono di disturbo, sabotaggio della rete ferroviaria e stradale, recupero di armi e munizioni, ma anche aiuto alle popolazioni contro la requisizione del bestiame portato all’ammasso. Nell’inverno 1944, dopo il proclama Alexander, ritornano a Bologna circa la metà dei partigiani partiti per il Veneto. Antonioni rimane ancora nell’Alto Agordino fino ai primi di dicembre quando si trasferisce a Molino, una frazione di Falcade, dove incontra il coetaneo Augusto Murer - «Artista», un nome di battaglia che segnerà il suo futuro - con cui allaccia un forte rapporto di amicizia e fratellanza che durerà fino alla morte di Murer, divenuto ormai famoso, nel 1985. Nel gelido inverno 1944 si trasferisce in una baita in val di Garès, dove riesce a sopravvivere a temperature anche di 20-25 gradi sotto zero, insieme ad altri due compagni, fino ai primi di gennaio 1945. Si sposta poi nella zona di Feltre, dove è in corso una riorganizzazione delle formazioni partigiane, soprattutto nei confronti del rapporto con le popolazioni, i contadini e i montanari, per superare il momento di crisi. Nel Bellunese operano due divisioni, la Nannetti e la Belluno rispettivamente alla sinistra e alla destra del Piave. Antonioni è nominato vice commissario politico della Brigata Gramsci, in seguito Gruppo Brigate Gramsci, della Divisione Belluno, che opera nel Feltrino. All’inizio della primavera la struttura si è riorganizzata, dai battaglioni alle brigate; riprendono le azioni militari e si alza il livello dello scontro. All’avvicinarsi della Liberazione, si svolge una riunione con il Comitato di liberazione nazionale di Feltre nella quale si prende la decisione di scendere in città, presidiata da un battaglione di circa 500 soldati tedeschi. Antonioni è incaricato di trattare la resa come partigiano, ufficiale di collegamento, insieme con Piero Bonato, un giovane democristiano. Pochi giorni dopo, la Brigata Feltre e il Gruppo delle Brigate Gramsci entrano in città, accolti con grande entusiasmo da una folla gioiosa e festeggiante; è il Primo Maggio 1945. Per i meriti avuti nella Lotta di Liberazione, Antonioni è insignito della cittadinanza onoraria dal Comune di VittorioVeneto e della Città di Belluno, entrambe decorate con la Medaglia d’oro al valor militare.

Alla fine della guerra, Antonioni è nominato Responsabile della Questura di Belluno per il Dipartimento di Feltre fino all’autunno 1945, quando il Ministero degli interni esonera gli incarichi di responsabilità partigiana e ristabilisce la struttura dirigenziale dei funzionari dello Stato.

Iscritto al Partito comunista italiano dal Primo Maggio 1944. Nel 1946, segue l’organizzazione politica della federazione provinciale di Belluno, in preparazione del V Congresso del Partito comunista italiano che si svolge a Roma. Nel 1947, ritornato a Bologna, riprende con fatica gli studi universitari interrotti. Dagli incontri con gli studenti nasce il Centro universitario repubblicano democratico, il Curd, che raccoglie i giovani che fanno riferimento ai partiti della coalizione antifascista. Il 7 gennaio 1947 è costituita la prima Sezione universitaria comunista intitolata a Elio Mandini, studente d’ingegneria caduto in uno scontro a fuoco con i tedeschi il 22 ottobre 1944 a Porta Lame, fraterno amico di Antonioni. Entrambe le iniziative entrano in crisi alla fine degli anni Quaranta, quando i partiti comunista e socialista sono estromessi dal governo e inizia un duro periodo di repressione contro la sinistra e anche contro i partigiani: è l’inizio della guerra fredda. Nel 1949, Antonioni è incarcerato per 15 giorni a San Giovanni in Monte, accusato di non aver risposto a un mandato di comparizione della questura di Belluno. In realtà non c’è nessun reato, si tratta solo di un disguido burocratico, per il quale il Procuratore della Repubblica di Belluno si scuserà. Anche questo fatto lo induce però ad abbandonare gli studi universitari. L’Associazione nazionale partigiani d’Italia di Roma lo nomina Commissario del Convitto nazionale per i figli dei partigiani «Rinascita», a Milano, dove rimane per un anno e mezzo.

Nel 1950, è insegnante nella Scuola quadri del Partito comunista di Bologna «Anselmo Marabini», per quattro anni. In seguito segue il movimento associazionistico nella zona dell’Appennino per la Federazione provinciale della Lega delle cooperative.

Nel 1972, gli viene affidata la gestione dell’allora unica agenzia Assicoop in provincia di Bologna, con un portafoglio iniziale di 600 milioni. Nel 1985, quando lascia, le sedi sono diventate venti, con la costituzione di una rete agenzie Unipol.

Dal 1965 al 1980, Antonioni è Consigliere comunale di Bologna eletto nella lista Due Torri, composta dal Partito comunista italiano e indipendenti. Assessore nella giunta d’insediamento del sindaco Guido Fanti il 2 aprile 1966, dopo le dimissioni di Giuseppe Dozza gravemente ammalato, mantiene la carica fino al 21 novembre 1969. Le deleghe sono quelle ai Servizi demografici e militari; all’Ufficio elettorale; ai Problemi sociali e del lavoro e dell’immigrazione e la sovrintendenza alle aziende comunali municipalizzate.

Per la giunta, segue il progetto per la compilazione di uno stradario «storico» delle vie di Bologna, in qualità di presidente della Commissione toponomastica di cui fa parte tra gli altri, l’autorevole professor Alberto Menarini. La redazione e la cura generale della pubblicazione dei lavori del progetto sono affidati a Mario Fanti, esperto di storia bolognese. Antonioni si occupa in particolare delle intitolazioni riguardanti gli uomini e gli avvenimenti della storia della Resistenza, insieme a Luigi Arbizzani e Luigi Miselli.

Dopo la tragedia di Tienanmen e la caduta del muro di Berlino, il percorso politico degli ultimi vent’anni è quello del militante che assiste in modo diretto ai cambiamenti che intervengono all’interno del Partito comunista italiano Il 12 novembre 1989, è testimone della dichiarazione del segretario del PCI, Achille Occhetto al quartiere Bolognina dove si avanza la possibilità di mutare il nome e i simboli del partito fondato nel 1921. Dopo la «svolta», Antonioni aderirà al Partito Democratico della Sinistra (PDS), nel congresso di Rimini del 1991. Oggi è iscritto al Partito Democratico.

Nel 1985, è vice presidente dell’Istituto provinciale della Resistenza, quando Giulio Supino è presidente. Inoltre, è membro del Comitato regionale per le onoranze alle vittime e ai caduti di Marzabotto e consigliere dell’Anpi nazionale. Dal 1995 è presidente dell’Associazione nazionale perseguitati politici italiani di Bologna. Autore di numerosi articoli e scritti, ha rievocato la sua esperienza partigiana nel libro, Al di qua e al di là del Piave. Un partigiano bolognese in Veneto, edizioni Aspasia, Bologna 2006.

Muore il 22 novembre 2017

Paola Furlan

Tratto da:
Ezio Antonioni, Un partigiano in Consiglio comunale. Bologna, 1965-1980, a cura di Paola Furlan. Introduzione di Carlo Galli. Testimonianze di Guido Fanti e Renato Zangheri, Bologna, Clueb, 2011.

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